Adolescenti negli anni ’80-’90, avevamo imparato a vedere l’America attraverso quelli che al tempo chiamavamo telefilm: I Robinson, Settimo cielo, Bayside School, Ally McBeal, Streghe, La Signora del West, Genitori in blue jeans, Friends, Sex and city, Melrose Place, Beverly Hills 90210, Dawson’s Creek, per citarne alcuni in ordine sparso.

Era l’autunno del 2021 quando ho visto la prima stagione di Just like that, mentre camminavo per le strade di Manhattan e ripercorrevo le location viste nella serie. A dire il vero, avevo tanta voglia di scrivere a riguardo su come dopo quasi 25 anni la sceneggiatura del sequel di Sex and city fosse così diverso dalla serie anni ’90. Ho lasciato correre un anno e più, nel frattempo è arrivata la seconda stagione che ammetto di non aver ancora guardato ma dalle recensioni, sembrerebbe che la seconda sia più vicina al mood del prequel. 

In questo periodo invece ho iniziato a vedere, ormai da un po’, una serie arrivata alla sua settima stagione, forse in ritardo visto che la prima stagione uscì nel 2017. E un po’ me ne sono pentita, perché ho scoperto che gli attori adolescenti come me negli anni ’90, in questa serie sono diventati i genitori di un gruppo di ragazzi che tra amori, sesso, droghe, si ritrovano alle prese con misteri nella città di Riverdale, dove la finzione altera i nomi veri dai quali si intrecciano gli avvenimenti della serie. Come tutte le serie con molte stagioni, il primo problema che potrebbe capitare è la noia, sopratutto quando i personaggi sono tanti e si corre il rischio di non riuscire a seguire puntata dopo puntata particolari che sfuggendo, non ti portano alla risoluzione dei gialli, che sapientemente vengono risolti dagli adolescenti. 

L’altro problema che si unisce alla noia, come lo è stato per me, la serie in molte puntate diventa un musical e questo mi ha portato a saltare in avanti. Per le prime stagioni la cosa che mi ha motivata a continuare a vedere le puntate, anche se scelgo di tenere acceso lo schermo come sottofondo alle cose che sto facendo, è stata la presenza di attori con i quali abbiamo vissuto l’adolescenza simultaneamente. Uno su tutti è Luke Perry, venuto a mancare nel 2019, possiamo definire Riverdale il suo testamento televisivo, con il quale ha concluso la sua carriera di attore, mentre l’ultima apparizione al cinema risulterà postuma nel film di Quentin Tarantino C’era una volta… Hollywood. Credo che rivedere sia lui che Shannen Maria Doherty (Brenda Walsh in Beverly Hills 90210), sia stato di sicuro uno dei momenti emozionanti di tutta la serie, ma non solo. C’è anche Molly Ringwald, la Samantha Baker di Sixteen Candles, di cui ho parlato in un vecchio post. E proprio in questi giorni che si sono ultimate le riprese della settima stagione, si conclude così una delle prime serie che erano nate per la tv e poi passate ai canali streaming, dove proprio l’approdo su Netflix ne ha reso la fama mondiale.

In più di 10 anni di riprese, il linguaggio della serie si è trasformato, seguendo l’evoluzione della società, temi come omosessualità hanno visto la prima apparizione in sordina nella prima stagione per poi diventare un argomento comune di inclusione di genere già dalla seconda stagione. Un pregio a questa serie che rende, nella finzione della sceneggiatura, gli stessi spazi di pari dignità a tutti gli argomenti trattati. È una serie che mi ha fatto ricordare cosa fossero i telefilm anni ’90, dove si era consapevoli che la tv trasmetteva storie inventate, dove non ci si aspettava di vivere quelle storie ma le si sognava solamente, dove erano ben lontani i reality di oggi, che hanno contaminato anche i nostri sogni.

Consigliare di guardare Riverdale? Perché no, rispondo. Almeno le prime 2 stagioni per chi come me alla vigilia del suo 48esimo compleanno, può solo che fare un tuffo nei ricordi delle serie tv anni ’90. 

E voi quale ricordo avete di quegli anni in tv?